La legge 19 luglio 2019, n. 69, recante “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere”, che entrerà in vigore per i fatti commessi dal 9 agosto 2019, introduce un percorso procedimentale preferenziale per alcuni reati.
Nello specifico si tratta dei delitti previsti dagli artt. 572, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies, 612- bis e 612-ter cod. pen. ovvero dagli artt. 582 e 583-quinquies cod. pen. nelle ipotesi aggravate ai sensi degli artt. 576, comma primo, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, comma primo, numero 1, e comma secondo, del medesimo cod. pen., la cui realizzazione è sintomatica di situazioni di pericolo nell’ambito familiare.
La legge testè inserisce dal punto procedimentale, nel codice di procedura penale, alcune regole specifiche previste per le indagini relative ai reati più gravi o sull’introduzione di nuovi adempimenti istruttori da compiere tempestivamente.
Nel codice penale invece introduce alcune modifiche, consistenti principalmente nell’inasprimento delle pene dei reati che costituiscono tipiche manifestazioni della rottura violenta di rapporti domestici.
Nello specifico, sono introdotte nuove fattispecie di reato, prima inesistenti, e segnatamente: 1) l’art. 387 – bis cod. pen., che punisce la violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa 2) l’art. 558-bis cod. pen., che incrimina la costrizione o l’induzione al matrimonio; 3) l’art. 612-ter cod. pen., che punisce la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti e che mira a reprimere le condotte di cd. revenge porn; 4) l’art. 583-quinquies cod. pen., che incrimina la deformazione dell'aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso.
La relazione di accompagnamento al disegno di legge indica la ratio della legge nella seguente finalità «le […] esigenze di completezza della tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, dunque, sono alla base degli interventi di modifica alle norme del codice di procedura penale” e si aggiunge che gli “interventi sul codice di procedura penale [sono] accomunati dall'esigenza di evitare che eventuali stasi, nell'acquisizione e nell'iscrizione delle notizie di reato o nello svolgimento delle indagini preliminari,
possano pregiudicare la tempestività di interventi, cautelari o di prevenzione, a tutela della vittima dei reati di maltrattamenti, violenza sessuale, atti persecutori e di lesioni aggravate in quanto commesse in contesti familiari o nell'ambito di relazioni di convivenza».
La nuova normativa si ispira alla normativa internazionale in materia di violenza di genere e violenza di genere.
In primis, dà attuazione pratica alla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, meglio conosciuta come Convenzione di Istanbul dell’11 maggio 2011, che è stata ratificata dall’Italia ai sensi della legge 27 giugno 2013, n. 77, che ha convertito il decreto legge n. 93 del 2013. Quest’ultimo decreto all’ art. 3 offre la definizione normativa di “violenza domestica” affermando che “ … si intendono per violenza domestica uno o più atti, gravi ovvero non episodici, di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra persone legate, attualmente o in passato, da un vincolo di matrimonio o da una relazione affettiva, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima”.
Le nuove norme, poi, rappresentano uno strumento ulteriore di attuazione della direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012 (attuata in Italia con il d.lgs. 15 dicembre 2015, n. 212) che ha offerto una definizione della violenza di genere :
“Per violenza di genere s'intende la violenza diretta contro una persona a causa del suo genere, della sua identità di genere o della sua espressione di genere o che colpisce in modo sproporzionato le persone di un particolare genere”, precisando che essa è “una forma di discriminazione e una violazione delle libertà fondamentali della vittima e comprende la violenza nelle relazioni strette, la violenza sessuale (compresi lo
stupro, l'aggressione sessuale e le molestie sessuali), la tratta di esseri umani, la schiavitù e varie forme di pratiche dannose, quali i matrimoni forzati, la mutilazione genitale femminile e i cosiddetti «reati d'onore»”.
La direttiva, tra l’altro, ha previsto che gli Stati membri dell’Unione debbano assicurare misure per proteggere la vittima e i suoi familiari dalla vittimizzazione secondaria e ripetuta, oltre che da intimidazione e ritorsioni, garantendone la protezione fisica, e provvedendo all’audizione della La legge n. 69/2009 infine introduce i principi sanciti dalla sentenza della Corte EDU Talpis c. Italia (Corte EDU, Sez. 1, del 2/03/2017, Talpis c. Italia, ricorso n. 41237/14), con cui si è affermato che il ritardo, con il quale le autorità competenti, alle quali era stato denunciato un caso di violenza domestica, hanno adottato le misure necessarie a tutelare la vittima, integra la violazione dell’art. 2 CEDU, relativo al diritto alla vita, in
quanto priva di qualsiasi effetto la denuncia della violenza medesima. Secondo la stessa decisione, costituisce violazione dell’art. 3 CEDU, sotto il profilo procedurale per il mancato adempimento degli obblighi positivi di protezione, il lungo periodo di inattività da parte delle autorità prima di avviare il procedimento penale per lesioni aggravate e la successiva archiviazione del caso. Siffatta sentenza ha affermato che la violazione di questi obblighi di protezione delle donne contro le violenze domestiche da parte di uno Stato si traduce in una violazione del loro diritto a un'uguale protezione di fronte alla legge ed è, pertanto, intrinsecamente discriminatorio.
Comments